venerdì 27 febbraio 2009

Sangue


C’e l’accumulo sanguinoso. L’emorragia lenta come un fungo cortinario, mortale dopo giorni dall’assunzione, arriva fino all’attenzione dei camici bianchi, in attesa delle ferie estive. Se ne accorge il mio addome, gonfio, dolorante, come una sacca di vipere contorte. Il respiro si mozza alla ricerca dell’aria chiusa della stanza. Polmoni condotti ad apnee non volute. Perde, la mia milza, il liquido prezioso: Ricordo il caldo dietro la testa, sull’asfalto, ad arrossare le linee spartitraffico. Sono tanti, intorno a me. Stanotte ho avuto la prima crisi. Di nuovo, nello spasmo dell’oscura insonnia, si è alzata l’ala che avevo afferrato e stretto il primo giorno. Ho sentito il suo leggero alito sul mio petto. Stringevo con la mano, un polso, una caviglia. La cosa tentava di sfuggirmi. Qualcuno ha suonato il campanello. Ero riverso a terra, raggomitolato, come un coniglio, colpito alla testa dal fattore, in procinto di un salmì. Mi è spettato questo dolore, questa sorpresa di nuovi mali, a sconfessare la forza del mio corpo. Cerco di capire il Dio avverso che si diverte, come un aguzzino argentino, a rinnovare torture sul desaparecido, ormai certo che il peggio sia passato. Il Dio. Quello che fa accadere le cose, affinchè gli uomini possano porvi rimedio. Quello del dolore, che fa amare la semplicità delle quieti. Perchè queste fitte senza scopo? Possiamo apprezzare la normalità, senza la coscienza della sofferenza? Più, è grande la sofferenza, minori saranno le nostre aspettative del benessere quotidiano. Il Dio scherza con gli uomini oppure lascia mano libera al suo avverso. E’ la volontà di Dio o è una sua momentanea assenza? Le finestre del dolore si aprono, sul Dio che gira un attimo la testa, che si china ad allacciarsi una scarpa, sul Dio che sbadiglia al volante o sul Dio che chiude gli occhi, starnutendo. Come può l’avverso, essere presente sempre, essere la distrazione del perfetto, onnipresente? L’avverso è dentro l’urlo di dolore dallo stomaco, di un femore spezzato nelle carni. Un occhio odioso si rivolge in alto,
al rimprovero bestiale.
E’ l’urlo dell’avverso, a richiamare il Dio
sulla sua piccola sconfitta.
Sono stretto, nella morsa di un forcipe d’acciaio.
Odore di anestetico, la luce forte della lampada operatoria.
Mi toglieranno la milza.
Respiro nella maschera. Ora il nulla.

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