venerdì 14 settembre 2018

Le foglie del faggio


Detestavo l'autunno. Ora attendo le mattine umide quasi che la rugiada sulle scarpe, portando il cane a spasso nell’uliveto, mi riportasse alla realtà della nuova giornata. Odiavo le giornate che accorciavano inesorabilmente il loro percorso. Detestavo la bruma come la colpevole dei colori grigi, delle foschie sul mare. Ho capito che la bella stagione è un retaggio della tenera età, della costruzione delle cose, dei sogni che non finiscono. Da qualche anno, provo un crescente trasporto per le albe. Sarà che, abitando ad Oriente, possiamo godere del sorgere del sole, camminando lungo la spiaggia. Eppure ho trovato qualcosa di tragicamente effimero nella bellezza di un nuovo giorno. E’ come gustare un frutto dolcissimo ma dal sapore corto. Rimanere lì, a puntare il sole, mentre i colori delle nubi notturne, sul mare, esplodono con i primi raggi. Tutto dura cinque minuti, nei quali non pensi a quello che ti porterà il nuovo dì ma sei conscio che quella sarà l’anestesia momentanea dal pensiero seguente. Ho iniziato a godere dell’autunno, percorrendo in bici, da settembre a dicembre inoltrato, la strada da Roccamontepiano a Mamma Rosa. Dalle querce sui colli, fino alle faggete, tutto cambia lentamente, nei colori, lentamente. Allora ti accorgi di quanto, un mese come novembre, possa accendere le foglie di un albero come fosse in procinto di prendere fuoco. L’estate è sguaiata, plateale, palesa ogni sua manifestazione, non ti permette di immaginare, di avere dubbi. Per questo motivo, smetto di nuotare in mare a giugno e riprendo a settembre, quando l’acqua inizia a farsi più fredda e sento i brividi dietro la schiena e così fino ad ottobre inoltrato, quando le mani ed i piedi si indolenziscono. E’ una sensazione vitale, diretta. Il freddo ti legge nelle ossa. Non puoi mentire al freddo. Non mi nego agli autunni che avanzano, si accavallano, stratificano come i cerchi del tronco di un albero sulla mia pelle. Detestavo l’autunno, ora è la stagione nella quale sembro veramente io.
Colonna sonora:
Tim Buckley - Dolphins
The Byrds - It's all over now, baby blue
Xtc - Making plans for Nigel
Roxy Music - My only love
Pete Townshend - I'm an animal
Iron Maiden - Running free
Lucio Dalla- Telefona tra vent'anni
Quincy Jones - I no corrida


sabato 8 settembre 2018

I muscoli di Achab


Ho cinquant’anni. Dovrei essere vecchio, ricordando come apparisse mio padre alla mia età. Nonostante l’apparenza, ho sempre esaminato il mio volto, il mio corpo, ogni mattina, per vedere e registrare nella memoria, piccoli e grandi cambiamenti. Le variazioni si notano nel lungo solo quando, un bel giorno, qualcosa di te è cambiato drasticamente, all’improvviso, da un giorno all’altro. Inizi con le gengive che si tirano, mostrando leggermente la radice dei denti. Qualcosa che ti ricorda le sembianze che avrai, quando sarai posto ordinatamente nell’ossario. La ruga a destra si accentua. Non è la ruga di espressione ma una marcata abitudine al sentimento dell’amarezza. Amarezza.  Negli anni ho imparato a convivere con questo stato d’animo. All’inizio ho dato colpa agli altri, in una sorta di gioco al vittimismo che spesso ha contraddistinto la cerchia familiare.  Ho provato a ragionare spesso sul fatto che, alcuni atteggiamenti degli altri, derivassero dalla maniera nella quale mi ponevo. Il risultato è stato illuminante. Credevo che i miei interlocutori avessero la mia stessa sensibilità e comprendessero le mie esigenze, i miei desideri, le mie scelte, i miei limiti, le mie manchevolezze.  Erravo nell’errore. L’unico modo è comprendere il prossimo, almeno nella parte della sua vita della quale vuole farti partecipe. Cosa possiamo pretendere di conoscere degli altri? Cosa ne sappiamo di loro veramente?  Così, per pigrizia, per impotenza, ci chiudiamo nel nostro mondo fatto di azioni che riteniamo giuste al momento adatto, di pensieri pensati per gli altri. Quando scopriamo che le nostre convinzioni sulle persone, si sgretolano contro il muro delle loro realtà, dentro noi prevale l’amarezza.  Questa sensazione che ci incolla la bocca, come una medicina indesiderata ma inevitabile, arriva fino al petto. Il respiro si stringe fino a tapparci le orecchie. L’amarezza, è un animale che appesantisce le spalle, si nutre aggrappato alla nostra nuca e cresce curvandoci le spalle. Avrei voluto festeggiare il traguardo simbolico del mezzo secolo in altro modo, guardando ai giorni passati, con la soddisfazione di chi ha costruito un percorso di serenità per sé e per i suoi cari. Mi sento come il capitano di una nave, nel mezzo di un oceano dall’onda variabile, il quale tiene stretto il suo timone tra le mani sempre più dolenti. Non so quando fino a quando la mia presa sarà sicura.


Colonna sonora:

David Sylvian - Black water
Chet Faker - Talk is cheap
William Fitzsimmons - I kissed a girl
Joni Mitchell- Woodstock
Benjamin Biolay - Miss Miss
Frank Ocean - Pink + white
The Young fathers - I heard
Nick Cave & the Bad seeds - Hang on to yourself
Bjork - All neon like
David Gray - This year's love