domenica 29 marzo 2009

Ventre


Un ventre gonfio. Un contenitore di escrementi. Due settimane senza alzare il busto, solo lievi torsioni del collo. La pala vuota, sotto le natiche rattrappite. Non riesco. Posso esplodere. Riesco a malapena a pisciare. Dapprima, dovevo far uscire gli altri per concentrarmi sulla mia uretra. Adesso piscio, senza inibizioni, mentre parlo con gli amici, le mogli, i padri, gli zii. Piscio, come se pisciassi loro in faccia. Ho perso l’ultimo alito di ritegno. Un corpo, senza difese, ferito, menomato, perde dignità senza volerla perdere. Ma le mie budella no. Si rifiutano di muovere questo flusso continuo di cibi che ingurgito da quindici giorni. Mio nonno morirà con l’esplosione dei suoi visceri, così, un rumore di sacco sfondato nella notte. Ho il terrore di scoppiare nella merda. Il giovane infermiere mi guarda pietoso a sera, insaccando a forza la pala sotto questo culo inerme, togliendo le lenzuola, tra pesi ed i tiranti, nell’appicicume di un sudore stantio, malamente deterso dagli spugnaggi di una madre madonna. Si scopre il mio cazzo, inutilmente adagiato su una coscia. La sera ha commozione. Ha commozione perché nessuno mi vede nel pianto di lacrime di rabbia e dolore, per la merda che si pietrifica dentro di me. Continuano i clisteri, delle viscide supposte a bruciare senza motivo. Sento il tanfo delle feci risalire lo stomaco, su per la gola, uscire come un olezzo di fogna a turarmi il naso. Allora capisco l’estraneo al di fuori di me. E’ un essere maleodorante, coperto di lividi bluastri, croste di ferite. In balìa di un qualsiasi qualcuno entrasse a violarmi nella notte. Sono veramente io, senza bugie, senza sipari, solo uomo.

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