sabato 14 marzo 2009

Suicidio dell'Ingegnere


Ho accostato al bordo della strada, l’attenzione, per un attimo. Dalla catene elastiche del mio letto, senza la milza,
il respiro di un vecchio, le labbra di un desaparecido sotto tortura, la visione
del baratro rapido senza i flashback. Ritorna, adesso, il suicidio dell’Ingegnere. E’ quell’ora che precede il pranzo per alcuni, dove i silenzi dell’attimo del desinare, si fanno dilatati alle poche macchine che passano, sotto il sole freddo di Aprile. L’ingegnere deve tornare a casa. Non lo fa. Va a trovare la zia. Di quelle zie che quando sei piccolo ti fanno trovare le caramelle che sanno di armadio. Saluta la zia. La zia va in bagno. L’ingegnere si affaccia la balcone. L’ingegnere si butta dal balcone, frantumandosi sull’asfalto. Il momento vuoto dell’attimo del volo è uguale a tutti. E’ simile al risveglio da un sonno profondo. E’ il momento che ho immaginato, quando rivedo l’eterno incidente stradale o la frase di ogni mattina: “ ho preso la pistola e...”. Così ho creduto al litigio, alla contesa durante quell’attimo. Ma chi gridava ? Chi litigava? Il cervello urlava l’imprevisto al corpo cadente o altro al di fuori di me?

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