sabato 23 novembre 2019

Durmì



Ho deciso che devo dormire. E’ l’unica maniera per difendermi. Tutta la mia giornata è incentrata sul fatto che, qualsiasi cosa io potrò portare al termine nelle ore di veglia, tutto sarà finalizzato al momento nel quale, tirata su la coperta, ci infilerò le gambe dentro e sprimaccerò il cuscino. A sera, non vedo l’ora di coricarmi, dopo una doccia bollente, per sprofondare nel nulla sicuro dell’oscurità Divento nervoso, irascibile, devo mettermi nel letto, chiudere gli occhi, non pensare, quello che potrò fare, lo farò domani perché tanto è lo stesso. E’ l’unica cosa intatta, pura che mi è rimasta. Dormire ininterrottamente almeno sei ore. Dormire nonostante il collo mi si stia piegando inesorabilmente verso destra e percepisca un dolore continuo, senza tregua, come un intruso che venga a modificare la trama dei miei sogni. Nella stanza potrebbe entrare chiunque, un ladro, un assassino. Io non me ne accorgerei. La mia sveglia non è così traumatica, quando posso dormire indisturbato. L’unica cosa è che devo ristabilire i confini tra me stesso e le motivazioni della mia diffidenza verso la nuova giornata: bestemmio. Conosco molti i quali, al risveglio, sentono la necessità di accendersi una sigaretta, pisciare o attaccarsi alla tavoletta del fondente. Lo facevo anch’io, una volta. Ora ho sostituito la cioccolata con l’imprecazione. Le azioni si susseguono con ripetitività maniacale: mi alzo, bestemmio, vado al bagno, indosso i pantaloni stando in bilico su una gamba, saluto i cani e preparo il caffè. In quella mezz’ora che precede la sveglia del resto della famiglia, riesco a continuare l’indefinito che si è materializzato durante il sonno e che rappresenta la base inconsistente sulla quale costruire la giornata. La notte invece, diventa il luogo nel quale sono nessuno, i miei nemici sono lontani, impegnati a combattere battaglie contro altri. 
Non russo. Non so come reagirei se qualcuno mi svegliasse, nel cuore della notte, per rivelare la mia debolezza inquieta, le mie frasi orribili, nel deliquio di un incubo che la mattina ho la forza di negare a me stesso. Le verità che nascondo durante il giorno, sono lì, alle porte del mio sonno, pronte a distruggere l’impalpabilità cadenzata e silenziosa del mio respiro. Ricordo mio nonno, vittima dell’insonnia, il quale non dormiva perché temeva di essere colto dalla morte. Nel suo enorme giaciglio intorno al quale troneggiava una barocca lettiera di ottone lavorato e sulla quale aveva appeso una radiolina sempre accesa, egli stava, circondato dall’oscurità, in una sorta di veglia narcosi, come una sentinella costretta alla guardia, durante una notte gelida e tranquilla. Per una strana sorte, proprio di fronte al muro della sua camera, si ergevano le alte mura della caserma degli alpini agli angoli della quale, ragazzi in corvè, battevano gli stivali per il freddo, chinando spesso il capo, nelle ore più buie, per un colpo di sonno, tra un’imprecazione per l’ingiustificata penitenza. Erano in due, di notte, il marmittone e mio nonno, a vegliare sulla notte, quasi un invisibile nemico, stesse appostato, pronto a tagliar loro la gola, ai primi cenni di sonno continuo. La radiolina trasmetteva, nella casa, una voce meccanica, talvolta uscita da un lontano, incomprensibile radio giornale d’oltre cortina, captato a stento dalle onde medie. Mio nonno, il quale aveva passato gli ultimi quarant’anni della sua vita con questo sonno disturbato, è morto di notte, nel deliquio di un disfarsi delle sue membra, in tardissima età. No, neanche a me piacerebbe morire durante la notte. Preferirei farlo appena sveglio, al mattino, dopo una bestemmia e un’abbondante colazione.


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