La mia carne ha uno strano odore. Quando la benda si strappa e viene buttata, intrisa di sangue vecchio e suppurazioni, lo sento l’odore. Ricordo le parti del maiale, appena salate, sul tavolo di campagna, quando si uccideva la bestia migliore, sotto Natale. Quando il mio cranio, dette diretto, sulla soglia dei davanzali, durante la caduta, l’odore del sangue caldo, come il leggero afrore del rosso d’uovo nel piatto. Ora ascolto i nuovi cigolii delle membra ricomposte nelle sedi. Era entrato un dottore, giovane, forse finocchio, a dirmi che le ossa, da quel giorno in poi, le avrei sentite presenti, muoversi, con rumore rotondo, sfregarsi tra cartilagini allentate, immerse nel siero fino a gonfiare la pelle, in sacche da svuotare con l’ago, quello grosso. L’aria del reparto è satura di minestra e mele bianche inacidite. Ho la nausea perché respingo l’odore di me stesso. Le bestie lo sentono il puzzo della paura, lo sentono il puzzo dell’uomo malato. Come una bestia avverto l’odore di un involucro umano sbattuto dai piani alti, ad atterrare sui ferri spigolosi di un montante. Il calore, mi sveglia la notte. Sale dallo stomaco, dallo scroto, dal buco del culo, intirizzito da una contrazione inane. Ora guardo il mio vicino. Un obeso, flaccido giovanotto con una gamba inutilizzabile. Andava, il tipo, per un vecchio deposito di robivecchi, in cerca di pezzi d’autore, quando una lastra di vetro, da una vecchia porta impilata, gli recise il tendine d’Achille, di netto, facendolo stramazzare a terra come un manzo abbattuto. Difficile operazione - andava rimuginando il primario, con il codazzo di apprendisti. Mi guardava con l’occhio della commiserazione, cercando di pareggiare la sua disgrazia alla mia. Mentre parlava, amplificando il suo fato, non rispondevo, ma scoreggiavo silenzioso, non avendo altro da fare, tra un tirante ed un gesso, impastato di sudore. Se ne andò, con la carrozzella delle dodici. Solo di nuovo, con il diavolo che mi alitava sul volto la notte. Dio beffardo, mandami un uomo a pezzi, che faccia sentire quello che è stato per me, poca cosa…
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