martedì 19 maggio 2009

Asilo incubo


Un cenno del capo. Sotto l'androne alternato di ombre e fioche luci dalle porte a vetro, si espande l'odore di cartelle e mani sporche di astucci e sudore. Una processione, sabba inverso,di suore silenziose taglia in due il corridoio, al suono di scarpe vecchie di cuoio. Sono uscito dalla stanza, dove gli aliti dei piccoli corpi, si mischiano alle corde delle brandine in ordinato cerchio. L'occhio terribile, come del falco che abbia avvistato dall'alto del suo volo la preda, mi punta dal nero velo. E' l'occhio di gesso della madonna a lutto, che orribile fissa il cristo morente nellea tenebra della morte. Un urlo, voce metallica di un kapò, lungo il filo spinato del lager, mi ordina di rientrare. E' l'ora di dormire. Nessuno dei miei piccoli compagni può sottrarsi alla pratica obbligata del sonno. Ma io non riesco. Voglio giocare. Vorrei correre nello stanzone vetrato dove langue un girello scrostato di rosso. Cigola sotto la spinta di noi bambini, quando lieti ci guardiamo nel mondo che gira. Non ricordo i volti, ma ricordo la gioia semplice di un bambino sfuggito agli aguzzini, che gode pochi istanti di un gioco innocente. La suora è un Satana androgino, dalla mano fredda che mi spinge nella stanza del sonno. Non voglio, non voglio. Ora vengo costretto a sedere in lacrime, nel mio banco. Non ricordo. Ho pianto per ore. Una lunga candela di muco mi scende da una narice, le mie mutande sono piene di merda. A sera, quando ho perso oramai la voce e la forza, una mano caritatevole e familiare di sottrae all'agonia della regola. Sono di nuovo nei bagni, prima di pranzo. Bisogna lavarsi. La norma impone le mani, oltre il polso. Ma il bagno si trova , fatta una piccola salita piastrellata, nella sala dei giochi. Non si può giocare prima di aprire i nostri cestini. La suora bagna la salita con il sapone, affinchè i nostri piedi scivolino nel tentativo di raggiungere le giostre. Siamo lì, in fila, che tentiamo di tenerci al muro per affrontare il pendio. Ma il fondo sembra d'olio, i piedi non reggono, torniamo indietro inchiodati, come in quei sogni dove vuoi scappare ma la tua corsa è inane. Altro ambiente. E' L'ora di fare i propri bisogni. Le suore, come negli allevamenti dei cani di razza, tentano di regolarizzare le nostre viscere imponendoci la seduta sui vasini. Vogliamo scappare dal patibolo anale. Ma le torturatrici coi crocifissi al collo, ci ficcano il lembo del grembiule sotto il vasino affinchè ci sia impedita la fuga. Troie, troie! Urlò mio nonno, quando si accorse che tenevano la figlia maggiore, incatenata in soffitto con il tifo, in mezzo ai topi, nonostante avesse pagato rette salate. L'odio per la rinuncia alla procreazione nei grembi, l'impedimento alla funzione di madri, spinge queste donne, serrate nelle vesti della castità, a vendicarsi su piccoli inermi, costringedoli ad una disciplina insensata, fatta di punizioni protratte e continuate, torture psicologiche a piegare gli animi lieti, cristi punitori, vendicativi anche sulle anime semplici di nuovi alla vita. Crescono figli amari, chini ai terrori dell'altare, timorati delle tonache, proni alle leggi senza una causa. Un Dio non dio le ha fatte maschi, senza i sessi. Nel mio sogno, apro i cancelli dei conventi. Libero queste donne alla vita, perchè possano amare , con il corpo, con la mente, affinchè un nuovo Dio, benevolo questi, sorrida alle loro esistenze, le liberi dalle stupide rinunce della mortificazione, inflitte da maschi misogini. Siano troie allegramente, senza le colpe della carne. Continuo ad essere stitico, per principio, comunque.

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