Ho deciso che devo dormire.
E’ l’unica maniera per difendermi. Tutta la mia giornata è incentrata sul fatto
che, qualsiasi cosa io potrò portare al termine nelle ore di veglia, tutto sarà
finalizzato al momento nel quale, tirata su la coperta, ci infilerò le gambe
dentro e sprimaccerò il cuscino. A sera, non vedo l’ora di coricarmi, dopo una
doccia bollente, per sprofondare nel nulla sicuro dell’oscurità Divento
nervoso, irascibile, devo mettermi nel letto, chiudere gli occhi, non pensare,
quello che potrò fare, lo farò domani perché tanto è lo stesso. E’ l’unica cosa
intatta, pura che mi è rimasta. Dormire ininterrottamente almeno sei ore. Dormire
nonostante il collo mi si stia piegando inesorabilmente verso destra e
percepisca un dolore continuo, senza tregua, come un intruso che venga a
modificare la trama dei miei sogni. Nella stanza potrebbe entrare chiunque, un
ladro, un assassino. Io non me ne accorgerei. La mia sveglia non è così
traumatica, quando posso dormire indisturbato. L’unica cosa è che devo ristabilire
i confini tra me stesso e le motivazioni della mia diffidenza verso la nuova
giornata: bestemmio. Conosco molti i quali, al risveglio, sentono la necessità
di accendersi una sigaretta, pisciare o attaccarsi alla tavoletta del fondente.
Lo facevo anch’io, una volta. Ora ho sostituito la cioccolata con l’imprecazione.
Le azioni si susseguono con ripetitività maniacale: mi alzo, bestemmio, vado al
bagno, indosso i pantaloni stando in bilico su una gamba, saluto i cani e
preparo il caffè. In quella mezz’ora che precede la sveglia del resto della
famiglia, riesco a continuare l’indefinito che si è materializzato durante il
sonno e che rappresenta la base inconsistente sulla quale costruire la
giornata. La notte invece, diventa il luogo nel quale sono nessuno, i miei nemici
sono lontani, impegnati a combattere battaglie contro altri.
Non russo. Non so
come reagirei se qualcuno mi svegliasse, nel cuore della notte, per rivelare la
mia debolezza inquieta, le mie frasi orribili, nel deliquio di un incubo che la
mattina ho la forza di negare a me stesso. Le verità che nascondo durante il
giorno, sono lì, alle porte del mio sonno, pronte a distruggere l’impalpabilità
cadenzata e silenziosa del mio respiro. Ricordo mio nonno, vittima dell’insonnia,
il quale non dormiva perché temeva di essere colto dalla morte. Nel suo enorme
giaciglio intorno al quale troneggiava una barocca lettiera di ottone lavorato
e sulla quale aveva appeso una radiolina sempre accesa, egli stava, circondato
dall’oscurità, in una sorta di veglia narcosi, come una sentinella costretta
alla guardia, durante una notte gelida e tranquilla. Per una strana sorte,
proprio di fronte al muro della sua camera, si ergevano le alte mura della
caserma degli alpini agli angoli della quale, ragazzi in corvè, battevano gli
stivali per il freddo, chinando spesso il capo, nelle ore più buie, per un
colpo di sonno, tra un’imprecazione per l’ingiustificata penitenza. Erano in
due, di notte, il marmittone e mio nonno, a vegliare sulla notte, quasi un
invisibile nemico, stesse appostato, pronto a tagliar loro la gola, ai primi
cenni di sonno continuo. La radiolina trasmetteva, nella casa, una voce
meccanica, talvolta uscita da un lontano, incomprensibile radio giornale d’oltre
cortina, captato a stento dalle onde medie. Mio nonno, il quale aveva passato
gli ultimi quarant’anni della sua vita con questo sonno disturbato, è morto di
notte, nel deliquio di un disfarsi delle sue membra, in tardissima età. No,
neanche a me piacerebbe morire durante la notte. Preferirei farlo appena
sveglio, al mattino, dopo una bestemmia e un’abbondante colazione.