sabato 16 marzo 2019

Il compratore di vendemmie


La faccia di Menico sembrava rassegnata. Sulla fronte corrugata, brunita dal sole cocente di tutta un’estate passata a sfiancarsi nei campi, due linee palpitanti, le sue vene, pareva volessero scoppiargli, tanta era la rabbia per quel verdetto infame: “Non posso darvi più di cento lire al quintale”, sentenziò l’uomo che gli stava davanti. Aveva una mano allungata tra i grappoli che pendevano dal carretto e ne tastava la consistenza, spremendoli fino a far colare il succo per terra. Menico, le braccia conserte, si giro verso la moglie e le figlie che lo guardavano affrante sul limitare della vigna. La più piccolina, una cosetta magra e malata, fissò il padre con gli occhi pieni di lacrime come a dire: papà, abbiamo lavorato come bestie, che abbiamo fatto di male? Il contadino non osò tenere il loro sguardo e si girò verso il suo interlocutore, rassegnato a dover accettare quella cifra da fame: “ Va bene, sempre meglio che morire di fame”. Ciruzzo sfoggiò un sorriso di soddisfazione, misto alla consapevolezza che quella cifra da strozzino avrebbe potuto far moltiplicare i suoi guadagni, una volta che avesse portato quelle uve nelle cantine per la spremitura. Il compratore napoletano frequentava ormai da anni l’Abruzzo. Aveva iniziato ad acquistare vino all’ingrosso, andando in giro con il suo carretto. L’attività era andata bene e così Ciruzzo aveva potuto acquistare un camioncino cassonato con il quale aveva deciso di andare per vigne ad acquistare le uve, durante la vendemmia. Da fine agosto fino ad ottobre, si recava sotto le vigne e, dopo alcune trattative più o meno estenuanti, riusciva a persuadere i vignaioli o i conduttori del fondo, a ceder il frutto del loro lavoro, convincendoli del fatto che avrebbero ricavato molto di men o, se avessero voluto quelle uve da soli: “Voi al massimo ci riuscite a fare l’aceto da far bere agli ubriaconi nelle vostre osterie”. Ciruzzo era dotato di buona favella e ai cafoni della zona, pareva parlasse come un signore, uno che conosceva come vanno le cose del mondo. Erano tanti anni che faceva quel lavoro e spesso era riuscito a comprare a bassissimo prezzo, delle ottime vendemmie, ricavandone ottimi profitti. Viveva il resto dell’anno a Napoli, sperperando i denari nei postriboli della zona e nei giochi d’azzardo. Spesso ero riuscito a concupire le giovani lavoranti nei vigneti, mentre genitori e padroni vendemmiando. L’ultimo settembre si preannunciava particolarmente fortunato per la vendemmia e Ciruzzo, a secco di denari dopo le ultime gozzoviglie dell’estate, parti di nuovo alla volta dell’Abruzzo, assetato più che mai dalla voglia di prendere per la gola quei poveri bifolchi. Nutriva disprezzo per quella gente, sempre china a lavorare e sempre più povera, dove la ciurma dei figli era impegnata nel pascolo delle greggi e nella cura degli oliveti. Riteneva che non fossero degni di  trasformare in vino quelle splendide uve e che a loro fosse dato da Dio, solo il compito di far sì che non marcissero sulla pianta. Era arrivato sulla piana di Capestrano, una zona nuova per lui e della quale non conosceva chi avesse possedimenti degni di essere spolpati dalla sua avidità. Molti viandanti gli avevano parlato di questa conca, capace di produrre uve straordinarie, adatte per i vini da far bere ai signori del Vomero. In quella zona un solo proprietario possedeva la quasi totalità dei vigneti. Tutta la vallata sottostante il paese di Ofena era coperta da bassi filari dove meravigliosi grappoli riflettevano i raggi del cadente sole settembrino. Solo un piccolo vigneto confinante con il possedimento del signorotto, era di proprietà di Bastiano, un povero contadino che aveva come unica ricchezza una piccola fattoria  e quattro galline nel pollaio che permettevano la sopravvivenza a lui e alla sua famiglia. L’uomo aveva deciso già da tempo che avrebbe lasciato quel posto, per emigrare lontano, magari in Canada, dove un caro cugino lo aspettava per aprire un’impresa edile. “Qui c’è tanto lavoro ma con quello che guadagni si vive bene. Ci sono le scuole per tutti e la gente è accogliente”. Queste frasi Bastiano le trovava sul retro delle cartoline che il parente gli mandava ogni tanto. Si vedeva che faceva una bella vita, perché sulle cartoline c’erano le foto di posti meravigliosi che il cugino poteva visitare viaggiando, grazie ad una condizione economica agiata. Con questa lontana speranza nel cuore anche in quei giorni l’uomo stava chino a cogliere l’uva, quando sentì il rumore di un autocarro che si fermava lungo la strada. Continuò a lavorare e non si accorse dell’uomo panciuto che si avvicinava con passo sicuro alle sue spalle. “Uè, è tua questa vigna?” Bastiano si girò. Ciruzzo era in piedi davanti a lui. “ Sì, che volete?” rispose il contadino. “Vuoi fare un affare? Ti compro il raccolto” . Bastiano esitò. L’uomo che gli aveva fatto la proposta non gli piacque. Da subito. Il contadino non smise di lavorare e tuttavia in quel momento comprese che quel giorno avrebbe potuto cambiare la sua vita. “Vediamo, io sono il padrone di tutte le vigne che vedi e questa uva mi serve per fare il vino che vendo giù a Pescara”. Ciruzzo si sentì spiazzato ma insistette: “ Se ci mettiamo d’accordo, tu di andare a vendere il tuo vinello, non ci devi pensare più”. Bastiano si alzò. In quel momento il sole stava tramontando e poteva essere sicuro di parlare senza che altri avrebbero sentito le sue parole. Diresse il suo sguardo verso le immense tenute del suo confinante. Non c’era nessuno. La vendemmia, da loro, non era ancora iniziata e il fattore era ormai nella stalla a condurre le bestie a riposo. “Sei sicuro che sarai in grado di pagare subito tutta questa uva” disse il contadino indicando le terre del confinante. Ciruzzo era un commerciante navigato e, nonostante sperperasse quasi tutti i suoi denari nei vizi, tratteneva delle sostanziose cifre che gli permettevano di pagare i contadini delle prime vendemmie e tornare nelle sue zone per rivendere le uve. Il partenopeo estrasse dalla tasca dei pantaloni sdruciti un rotolone di banconote da mille lire. Bastiano trattenne a stento la sorpresa: avrebbero potuto essere almeno duecentomila lire! “Quando sei disposto a darmi al quintale?” Il contadino si ricompose, mostrando freddezza. “Novanta o cento lire, tanto di più la tua uva non vale” , disse Ciruzzo. “Centoventi o niente” rispose il vignaiolo. Ciruzzo sapeva che, da quel raccolto fantastico avrebbe guadagnato dieci volte tanto. Decise di adottare una tecnica che aveva provato con successo con altri bifolchi: “ Ti anticipo i soldi del raccolto, se rimaniamo a cento lire ma tu mi devi promettere che lavorerai giorno e notte”. Detto questo, levò il legaccio dal rotolo di banconote che spiegarono come una sindone in esposizione. Si leccò pollice e indice e, dopo aver dato uno sguardo largo a tutto il vigneto, contò diciotto banconote da mille, sbattendole sulla mano aperta di Bastiano. A conti fatti, i due si guardarono e, si strinsero la mano. “ Ti lascio il camion a bordo strada. Ci vediamo domani mattina per il primo carico.” Ciruzzo prese la bici dal cassone dell’autocarro e si diresse, sbuffando verso il paese dove, gli avevano detto, esisteva una locanda dalla quale si potevano osservare i vigneti anche la notte. Bastiano. Dopo che il compratore si fu allontanato, chiamò a se moglie e figli: “presto andate a casa e preparate le casse con tutte le nostre cose”. La moglie non comprese. “Sbrigati” grido l’uomo. Era calata la notte. Lungo le filari i figli del contadino iniziarono a sistemare le torce per illuminare il vigneto. Tirava un leggero vento quella sera e Ciruzzo, comodamente seduto al tavolo della locanda, guardava le fiammelle tremolare sotto la brezza notturna. Figure evanescenti si aggiravano tra i filari e il drappeggio delle loro vesti si muoveva alacremente nella foga della vendemmia. Il compratore era soddisfatto per che quello si prospettava come uno dei migliori affari della sua vita. Bevve senza ritegno tanto che, la mattina seguente, si svegliò relativamente tardi, con un forte mal di testa: “Maledetti cafoni, lo sapevo che il vostro vino era buono solo per uccidere le cimici”. Nella locanda trovo solo il vecchio oste. Ciruzzo inforcò la bicicletta e iniziò la sua discesa, preparandosi ad effettuare il viaggio con il primo caricò di uva. Arrivato in prossimità del vigneto dove aveva lasciato la famiglia di Bastiano a lavorare, capì che c’era qualcosa che non andava. Dov’era il camion? Sentiva sempre più assordante uno starnazzare di oche. La sua sorpresa si tramutò in disperazione quando, sceso dalla bici, si addentrò tra i filari che erano, stranamente, ancora carichi di uve non raccolte. Nei lunghi camminamenti tra le viti, erano tese delle corde che andavano da un capo all’altro del vigneto. Nelle corde correvano degli anelli ai quali erano legate, per i collo delle anatre ricoperte di stracci colorati. Queste anatre, in preda al panico per il fatto che fossero impossibilitate a fuggire, correvano su e giù, lungo la corda, per tutta la lunghezza del vigneto, starnazzando disperate. Ciruzzo, dalla finestra della locanda, nel buio della notte, le aveva scambiate per vendemmiatori. Iniziò ad imprecare prendendole a calci. Corse verso la grande masseria, in cerca del truffatore, brandendo un coltellaccio, con l’intenzione di vendicarsi. Sull’aia, i fattori del padrone dei vigneti che Bastiano aveva spacciato per suoi agli occhi del napoletano, vedendo arrivare quest’uomo armato, misero mano agli schioppi. “Ridammi i soldi Bastiano!” urlava Ciruzzo. La sua rabbia era incontenibile e avrebbe sicuramente scannato il primo che gli fosse passato a tiro se un colpo ben assestato del fattore più anziano non gli avesse trapassato la mano che teneva il coltello. Quella stessa sera, presso il porto di Napoli, una famiglia, lasciato l’autocarro in un piazzale distante, trascinava qualche cassa, piena di povere cose e un paio di valigie, sulla nave diretta in America.

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