La faccia di Menico sembrava
rassegnata. Sulla fronte corrugata, brunita dal sole cocente di tutta un’estate
passata a sfiancarsi nei campi, due linee palpitanti, le sue vene, pareva
volessero scoppiargli, tanta era la rabbia per quel verdetto infame: “Non posso
darvi più di cento lire al quintale”, sentenziò l’uomo che gli stava davanti.
Aveva una mano allungata tra i grappoli che pendevano dal carretto e ne tastava
la consistenza, spremendoli fino a far colare il succo per terra. Menico, le
braccia conserte, si giro verso la moglie e le figlie che lo guardavano
affrante sul limitare della vigna. La più piccolina, una cosetta magra e
malata, fissò il padre con gli occhi pieni di lacrime come a dire: papà,
abbiamo lavorato come bestie, che abbiamo fatto di male? Il contadino non osò
tenere il loro sguardo e si girò verso il suo interlocutore, rassegnato a dover
accettare quella cifra da fame: “ Va bene, sempre meglio che morire di fame”. Ciruzzo
sfoggiò un sorriso di soddisfazione, misto alla consapevolezza che quella cifra
da strozzino avrebbe potuto far moltiplicare i suoi guadagni, una volta che
avesse portato quelle uve nelle cantine per la spremitura. Il compratore
napoletano frequentava ormai da anni l’Abruzzo. Aveva iniziato ad acquistare
vino all’ingrosso, andando in giro con il suo carretto. L’attività era andata
bene e così Ciruzzo aveva potuto acquistare un camioncino cassonato con il
quale aveva deciso di andare per vigne ad acquistare le uve, durante la
vendemmia. Da fine agosto fino ad ottobre, si recava sotto le vigne e, dopo
alcune trattative più o meno estenuanti, riusciva a persuadere i vignaioli o i
conduttori del fondo, a ceder il frutto del loro lavoro, convincendoli del
fatto che avrebbero ricavato molto di men o, se avessero voluto quelle uve da
soli: “Voi al massimo ci riuscite a fare l’aceto da far bere agli ubriaconi
nelle vostre osterie”. Ciruzzo era dotato di buona favella e ai cafoni della
zona, pareva parlasse come un signore, uno che conosceva come vanno le cose del
mondo. Erano tanti anni che faceva quel lavoro e spesso era riuscito a comprare
a bassissimo prezzo, delle ottime vendemmie, ricavandone ottimi profitti.
Viveva il resto dell’anno a Napoli, sperperando i denari nei postriboli della
zona e nei giochi d’azzardo. Spesso ero riuscito a concupire le giovani
lavoranti nei vigneti, mentre genitori e padroni vendemmiando. L’ultimo
settembre si preannunciava particolarmente fortunato per la vendemmia e
Ciruzzo, a secco di denari dopo le ultime gozzoviglie dell’estate, parti di
nuovo alla volta dell’Abruzzo, assetato più che mai dalla voglia di prendere
per la gola quei poveri bifolchi. Nutriva disprezzo per quella gente, sempre
china a lavorare e sempre più povera, dove la ciurma dei figli era impegnata
nel pascolo delle greggi e nella cura degli oliveti. Riteneva che non fossero
degni di trasformare in vino quelle
splendide uve e che a loro fosse dato da Dio, solo il compito di far sì che non
marcissero sulla pianta. Era arrivato sulla piana di Capestrano, una zona nuova
per lui e della quale non conosceva chi avesse possedimenti degni di essere
spolpati dalla sua avidità. Molti viandanti gli avevano parlato di questa
conca, capace di produrre uve straordinarie, adatte per i vini da far bere ai
signori del Vomero. In quella zona un solo proprietario possedeva la quasi
totalità dei vigneti. Tutta la vallata sottostante il paese di Ofena era
coperta da bassi filari dove meravigliosi grappoli riflettevano i raggi del
cadente sole settembrino. Solo un piccolo vigneto confinante con il
possedimento del signorotto, era di proprietà di Bastiano, un povero contadino
che aveva come unica ricchezza una piccola fattoria e quattro galline nel pollaio che
permettevano la sopravvivenza a lui e alla sua famiglia. L’uomo aveva deciso
già da tempo che avrebbe lasciato quel posto, per emigrare lontano, magari in
Canada, dove un caro cugino lo aspettava per aprire un’impresa edile. “Qui c’è
tanto lavoro ma con quello che guadagni si vive bene. Ci sono le scuole per
tutti e la gente è accogliente”. Queste frasi Bastiano le trovava sul retro
delle cartoline che il parente gli mandava ogni tanto. Si vedeva che faceva una
bella vita, perché sulle cartoline c’erano le foto di posti meravigliosi che il
cugino poteva visitare viaggiando, grazie ad una condizione economica agiata.
Con questa lontana speranza nel cuore anche in quei giorni l’uomo stava chino a
cogliere l’uva, quando sentì il rumore di un autocarro che si fermava lungo la
strada. Continuò a lavorare e non si accorse dell’uomo panciuto che si
avvicinava con passo sicuro alle sue spalle. “Uè, è tua questa vigna?” Bastiano
si girò. Ciruzzo era in piedi davanti a lui. “ Sì, che volete?” rispose il
contadino. “Vuoi fare un affare? Ti compro il raccolto” . Bastiano esitò. L’uomo
che gli aveva fatto la proposta non gli piacque. Da subito. Il contadino non
smise di lavorare e tuttavia in quel momento comprese che quel giorno avrebbe
potuto cambiare la sua vita. “Vediamo, io sono il padrone di tutte le vigne che
vedi e questa uva mi serve per fare il vino che vendo giù a Pescara”. Ciruzzo
si sentì spiazzato ma insistette: “ Se ci mettiamo d’accordo, tu di andare a
vendere il tuo vinello, non ci devi pensare più”. Bastiano si alzò. In quel
momento il sole stava tramontando e poteva essere sicuro di parlare senza che
altri avrebbero sentito le sue parole. Diresse il suo sguardo verso le immense
tenute del suo confinante. Non c’era nessuno. La vendemmia, da loro, non era
ancora iniziata e il fattore era ormai nella stalla a condurre le bestie a
riposo. “Sei sicuro che sarai in grado di pagare subito tutta questa uva” disse
il contadino indicando le terre del confinante. Ciruzzo era un commerciante
navigato e, nonostante sperperasse quasi tutti i suoi denari nei vizi,
tratteneva delle sostanziose cifre che gli permettevano di pagare i contadini
delle prime vendemmie e tornare nelle sue zone per rivendere le uve. Il
partenopeo estrasse dalla tasca dei pantaloni sdruciti un rotolone di banconote
da mille lire. Bastiano trattenne a stento la sorpresa: avrebbero potuto essere
almeno duecentomila lire! “Quando sei disposto a darmi al quintale?” Il
contadino si ricompose, mostrando freddezza. “Novanta o cento lire, tanto di
più la tua uva non vale” , disse Ciruzzo. “Centoventi o niente” rispose il
vignaiolo. Ciruzzo sapeva che, da quel raccolto fantastico avrebbe guadagnato
dieci volte tanto. Decise di adottare una tecnica che aveva provato con
successo con altri bifolchi: “ Ti anticipo i soldi del raccolto, se rimaniamo a
cento lire ma tu mi devi promettere che lavorerai giorno e notte”. Detto
questo, levò il legaccio dal rotolo di banconote che spiegarono come una
sindone in esposizione. Si leccò pollice e indice e, dopo aver dato uno sguardo
largo a tutto il vigneto, contò diciotto banconote da mille, sbattendole sulla
mano aperta di Bastiano. A conti fatti, i due si guardarono e, si strinsero la
mano. “ Ti lascio il camion a bordo strada. Ci vediamo domani mattina per il
primo carico.” Ciruzzo prese la bici dal cassone dell’autocarro e si diresse,
sbuffando verso il paese dove, gli avevano detto, esisteva una locanda dalla
quale si potevano osservare i vigneti anche la notte. Bastiano. Dopo che il
compratore si fu allontanato, chiamò a se moglie e figli: “presto andate a casa
e preparate le casse con tutte le nostre cose”. La moglie non comprese.
“Sbrigati” grido l’uomo. Era calata la notte. Lungo le filari i figli del
contadino iniziarono a sistemare le torce per illuminare il vigneto. Tirava un
leggero vento quella sera e Ciruzzo, comodamente seduto al tavolo della
locanda, guardava le fiammelle tremolare sotto la brezza notturna. Figure
evanescenti si aggiravano tra i filari e il drappeggio delle loro vesti si muoveva
alacremente nella foga della vendemmia. Il compratore era soddisfatto per che
quello si prospettava come uno dei migliori affari della sua vita. Bevve senza
ritegno tanto che, la mattina seguente, si svegliò relativamente tardi, con un
forte mal di testa: “Maledetti cafoni, lo sapevo che il vostro vino era buono
solo per uccidere le cimici”. Nella locanda trovo solo il vecchio oste. Ciruzzo
inforcò la bicicletta e iniziò la sua discesa, preparandosi ad effettuare il
viaggio con il primo caricò di uva. Arrivato in prossimità del vigneto dove
aveva lasciato la famiglia di Bastiano a lavorare, capì che c’era qualcosa che
non andava. Dov’era il camion? Sentiva sempre più assordante uno starnazzare di
oche. La sua sorpresa si tramutò in disperazione quando, sceso dalla bici, si
addentrò tra i filari che erano, stranamente, ancora carichi di uve non
raccolte. Nei lunghi camminamenti tra le viti, erano tese delle corde che
andavano da un capo all’altro del vigneto. Nelle corde correvano degli anelli
ai quali erano legate, per i collo delle anatre ricoperte di stracci colorati.
Queste anatre, in preda al panico per il fatto che fossero impossibilitate a
fuggire, correvano su e giù, lungo la corda, per tutta la lunghezza del
vigneto, starnazzando disperate. Ciruzzo, dalla finestra della locanda, nel
buio della notte, le aveva scambiate per vendemmiatori. Iniziò ad imprecare
prendendole a calci. Corse verso la grande masseria, in cerca del truffatore,
brandendo un coltellaccio, con l’intenzione di vendicarsi. Sull’aia, i fattori
del padrone dei vigneti che Bastiano aveva spacciato per suoi agli occhi del
napoletano, vedendo arrivare quest’uomo armato, misero mano agli schioppi.
“Ridammi i soldi Bastiano!” urlava Ciruzzo. La sua rabbia era incontenibile e
avrebbe sicuramente scannato il primo che gli fosse passato a tiro se un colpo
ben assestato del fattore più anziano non gli avesse trapassato la mano che
teneva il coltello. Quella stessa sera, presso il porto di Napoli, una
famiglia, lasciato l’autocarro in un piazzale distante, trascinava qualche
cassa, piena di povere cose e un paio di valigie, sulla nave diretta in
America.
Nessun commento:
Posta un commento