sabato 8 settembre 2018

I muscoli di Achab


Ho cinquant’anni. Dovrei essere vecchio, ricordando come apparisse mio padre alla mia età. Nonostante l’apparenza, ho sempre esaminato il mio volto, il mio corpo, ogni mattina, per vedere e registrare nella memoria, piccoli e grandi cambiamenti. Le variazioni si notano nel lungo solo quando, un bel giorno, qualcosa di te è cambiato drasticamente, all’improvviso, da un giorno all’altro. Inizi con le gengive che si tirano, mostrando leggermente la radice dei denti. Qualcosa che ti ricorda le sembianze che avrai, quando sarai posto ordinatamente nell’ossario. La ruga a destra si accentua. Non è la ruga di espressione ma una marcata abitudine al sentimento dell’amarezza. Amarezza.  Negli anni ho imparato a convivere con questo stato d’animo. All’inizio ho dato colpa agli altri, in una sorta di gioco al vittimismo che spesso ha contraddistinto la cerchia familiare.  Ho provato a ragionare spesso sul fatto che, alcuni atteggiamenti degli altri, derivassero dalla maniera nella quale mi ponevo. Il risultato è stato illuminante. Credevo che i miei interlocutori avessero la mia stessa sensibilità e comprendessero le mie esigenze, i miei desideri, le mie scelte, i miei limiti, le mie manchevolezze.  Erravo nell’errore. L’unico modo è comprendere il prossimo, almeno nella parte della sua vita della quale vuole farti partecipe. Cosa possiamo pretendere di conoscere degli altri? Cosa ne sappiamo di loro veramente?  Così, per pigrizia, per impotenza, ci chiudiamo nel nostro mondo fatto di azioni che riteniamo giuste al momento adatto, di pensieri pensati per gli altri. Quando scopriamo che le nostre convinzioni sulle persone, si sgretolano contro il muro delle loro realtà, dentro noi prevale l’amarezza.  Questa sensazione che ci incolla la bocca, come una medicina indesiderata ma inevitabile, arriva fino al petto. Il respiro si stringe fino a tapparci le orecchie. L’amarezza, è un animale che appesantisce le spalle, si nutre aggrappato alla nostra nuca e cresce curvandoci le spalle. Avrei voluto festeggiare il traguardo simbolico del mezzo secolo in altro modo, guardando ai giorni passati, con la soddisfazione di chi ha costruito un percorso di serenità per sé e per i suoi cari. Mi sento come il capitano di una nave, nel mezzo di un oceano dall’onda variabile, il quale tiene stretto il suo timone tra le mani sempre più dolenti. Non so quando fino a quando la mia presa sarà sicura.


Colonna sonora:

David Sylvian - Black water
Chet Faker - Talk is cheap
William Fitzsimmons - I kissed a girl
Joni Mitchell- Woodstock
Benjamin Biolay - Miss Miss
Frank Ocean - Pink + white
The Young fathers - I heard
Nick Cave & the Bad seeds - Hang on to yourself
Bjork - All neon like
David Gray - This year's love

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