“Volevo solo comprarmi quella
moto”.
La sottile linea di fumo che correva ondulata fino al lampadario
ingiallito, nascondeva a tratti il volto di Nicolas. Una scorza di rughe si
attaccavano ai lati degli occhi, due punti azzurri, offuscati leggermente da un
velo, il quale tuttavia, lasciava intatta un’espressione vivida, da contadino
strafottente. Avrebbe potuto avere ottant’anni e zoppicava palesemente tanto da
appoggiarsi, anche quando era seduto ad un bastone di legno intagliato. Lo
avevo notato, sere prima, di ritorno da uno dei miei tour nel Cilento, a
scarrozzare ciclisti stranieri. Ero rimasto colpito quella vecchia moto
monocilindrica, tenuta in piedi da un restauro, parcheggiata davanti al locale.
Avevo dedotto che Nicolas, fosse un motociclista poiché portava costantemente addosso un giubbotto di pelle,
liso e rattoppato. Puntò subito i miei tatuaggi sbiaditi, quasi fossero un
segno distintivo tra vecchi biker. Ero io a non essere più un centauro, la mia
vecchia Guzzi languiva, ormai danni, impolverata nel garage, ma questo sembrava
non interessargli più di tanto. Mi prese
in simpatia. Così la sera, dietro un bicchiere di vino, mi trovai ad ascoltare
la sua vita o quella parte che Nicolas voleva raccontarmi. Scoprì che era belga
e che aveva deciso di fissare la sua dimora estiva lì, a Capaccio, presso
l’agriturismo della Baronessa Bellelli. In inverno si trasferiva a Bangkok,
dove viveva grazie all’aiuto di alcuni amici per i quali sbrigava quelli che
lui definiva "affari".
Era
uscito dalla guerra ancora ragazzo, con la voglia di scappare dalla miseria e
dalle macerie. In Italia tutto era da ricostruire, ma lui non aveva voluto
rimanere ed era partito per l’America. Portò con sè una valigia malconcia ed
una ragazzina altrettanto malandata, frutto di un amore disperato e contrastato.
Arrivarono a New York e furono subito messi in fila per la quarantena ad Ellis
Island. Lì incontrarono Vito, un giovane siciliano che era partito in cerca di
fortuna e voleva entrare a lavorare presso il ristorante dello zio a Little
Italy. Non fu difficile per loro riuscire a strappare la promessa di un lavoro.
Iniziarono a prestare servizio, lui come aiuto cuoco e lei come cameriera. La
clientela del locale era costituita, per la maggior parte, da italiani che
avevano già fatto fortuna negli States. -Un giorno – mi disse Nicolas- il padrone
ordina a mia moglie di preparare un tavolo appartato, dietro un separè, perchè
dovevano arrivare ospiti importanti. Si presentano una decina di persone e tra
di loro riesco a scorgere, sbirciando dalla porta della cucina, Frank Sinatra.
Siede vicino ad un altro tizio e lo chiama Jimmy. Scopro poi che si chiama
Jimmy Hoffa ed è un pezzo grosso del sindacato. Cinque minuti dopo la loro
uscita, il locale salta in aria. Qualcuno ha piazzato una bomba per far la
pelle ad Hoffa. Noi ci salviamo per un pelo ma io rimango ferito ad una gamba.
Dissero poi, che quella bomba ce l'avevano messa gli scagnozzi dei Kennedy.
Qualche giorno dopo, il gestore mi chiama e mi offre un altro lavoro in cambio
del mio silenzio sulla faccenda, lasciandomi intendere che un rifiuto non
sarebbe stato “gradito” dagli “quelli” Si trattava di un posto come autista di
tir presso una squadra corse, diretta da un miliardario eccentrico: il compito
era trascinare da est ad ovest un vecchio truck, carico di automobili, da far
correre sui circuiti privati, per la gioia di anelluti benestanti dalla Florida
al Texas. Dormivo quando potevo, mi fermavo in quelle vecchie stazioni lungo le
route infinite verso il west. Imparai a distinguere ogni singolo cactus che costellasse
i tramonti del Colorado-. Nicolas aveva uno strano bagliore negli occhi ,
quando parlava di quei paesaggi lungo i quali aveva trascorso giorni e notti
alla guida. Avrebbero potuto essere bugie. Non mi importava che lo fossero. La
mattina seguente, e quelle dopo, nonostante mi alzassi di buon’ora, non lo
trovavo mai. Chiedevo alla cameriera dove fosse. Mi diceva sempre che era
partito presto, senza lasciare indicazione sul suo tragitto. Così radunavo i
miei clienti e passavo la giornata insieme a loro, in cerca di una cala, di una
spiaggia e di un buon ristorante che cucinasse una pezzogna decente. A cena, lo
trovavo sempre lì, seduto al suo tavolo. “Riuscì a comprare quella vecchia
Triumph” – mi disse l’ultima sera – “L’avevo estorta al cuoco portoricano del
fast food sotto casa. Aveva lasciato la moglie sola con quattro figli e si era
messo insieme ad una spogliarellista. La moglie era tornata alla carica per
reclamare il mantenimento dei figli e lui doveva vendere la moto per ricavare
soldi” – Nicolas mi guardava, stringendo i piccoli occhi, con una smorfia di
soddisfazione. “ La moto era malandata, per farla partire occorreva prenderla a
martellate sulla testata” . – Poi cambiò espressione – “ La felicità di quella
moto non durò a lungo, la mia compagna tornò in Italia, stanca di quella vita
senza prospettive e rimanemmo soli in quella topaia vicino ad Harlem, io e la
mia Triumph. – Il volto di Nicolas si era fatto scuro – “ Decisi di ritornare
anch’io in Italia, ma non potevo portare la moto con me, così feci pubblicare
un annuncio sul giornale. Ero arrivato a pochi giorni dalla partenza e nessuno
aveva risposto all’inserzione. Avrei dovuto abbandonare quel ferro in mezzo
alla strada ed andarmene ma, il giorno prima del mio volo di ritorno per
l’Italia, un tizio mi chiama perché è interessato alla moto. Mi dà l’indirizzo
e mi dice di andare da lui per fare un giro di prova. Parto ed arrivo in questo
residence fatto di villette isolate” – Si presenta questo tizio e dice di
chiamarsi Laszlo. Non sa guidare la moto e vuole che glielo insegni in un
quarto d’ora. Mi ero presentato con un giubbotto nero ed un cappello di pelle
nera ed avevo un aspetto molto “selvaggio”, molto “cool”. Mentre faccio lezione
a questo ungherese, lui di colpo si gira e mi fa: - Ragazzo, hai stile. Te lo
dico sinceramente. Sono un regista e sto girando un film su una banda di
motociclisti. Ho sotto contratto un attore giovane, ma che sono sicuro si farà
strada, si chiama Brando, Marlon Brando. Tu potresti essere uno del gruppo dei
biker.- A quei tempi Brando non era nessuno e l’idea di rimanere ancora in
America, per prendere parte ad un film con attori misconosciuti, non mi
allettava. - Ho già il biglietto in tasca per l’Italia, - gli rispondo -ho
disdetto il contratto d’affitto, non posso-. Nicolas chiuse il racconto dietro
una nuvola di fumo a coprire il suo sguardo, che si andava spegnendo quasi
fosse un giradischi alla fine dei suoi solchi. Si alzò, prese il suo bastone,
mi fece un cenno con il capo e uscì nella notte che aveva preso l'odore del
lentisco. La mattina dopo, la moto era lì, ma di lui nessuna traccia. Chiesi
alla cameriera – “ Guardi che la moto non è di Nicolas” – mi disse lei con tono
di rimprovero – “la moto è del giardiniere. Nicolas esce a piedi tutte le
mattine con il casco in mano , ma va fino alla fermata dell’autobus. Forse
prende la linea che va fino a Magliano Vetere, ma non sappiamo esattamente dove
scenda.” – rimasi senza parole. Inforcai la bicicletta e iniziai a salire oltre
Capaccio. Di Nicolas nessuna traccia. Ero arrivato fino a Monteforte. Entrando
nel paese, presso il parapetto di una curva, notai una figura alta, giaccone di
pelle, capelli grigi lunghi fino alle spalle, mani in tasca e casco tenuto
dall’avambraccio attraverso la visiera aperta. Nicolas era lì, di spalle alla
strada e fissava la vallata. Lo sguardo era impietrito, vitreo, perso in un
punto dell’orizzonte. Non notò il mio passaggio né io feci nulla per attirare
la sua attenzione. Mi fermai al bar trecento metri più giù in paese. “Mi scusi,
ma chi è quell’uomo, in piedi, vicino la curva che guarda a valle?” – Chiesi
alla vecchia barista che mi versava una birra – “ Chi l’americano? Il pazzo?” –
mi apostrofò con espressione di sorpresa la signora - “ Quello viene ad
aspettare l’amico suo” – “L’amico suo?” – insistetti io – “ Sì, l’amico suo che
è morto. Tanti anni fa , dopo lo sbarco degli alleati a Paestum, i soldati
avevano lasciato una vecchia moto inutilizzabile in mezzo alla strada. Lui e il
suo amico erano poco più che ragazzini. Riuscirono a metterla in piedi e ci
saltarono su. La discesa fino al paese non era ripida, ma la moto era pesante e
i due non riuscirono a fare la curva. Finirono di sotto. Lui si salvò, ma
rimase zoppo, l’amico morì sul colpo spezzandosi l’osso del collo. La moto è
ancora là” – Uscì senza consumare. Presi la bicicletta ed iniziai a risalire.
Arrivai presso la curva ma Nicolas non c’era più. Fu allora che decisi di
affacciarmi oltre il parapetto. Guardai giù. Più sotto, nel piccolo pezzo di
terra incolto, sotto un fico malandato, i rottami di una vecchia Triumph.
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