sabato 13 dicembre 2014

Il mare nella buca



"Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

Non riesco. Su questa spiaggia che percorro da oltre quarant’anni, ho visto i giorni nascere e morire, sempre cercando, oltre l’orizzonte, l’arrivo dell’estate e le prime foschie d’autunno. Ogni mattina, adesso, al sorgere del sole, mi trovo ad imprimere nella memoria, albe uguali e tuttavia diverse. Immaginavo, un tempo, che avrei potuto incontrare, le anime dei mie defunti, al limite della battigia, dove l’onda si ferma e subito si ritira. Lì immaginavo l’ombra di mio padre, dei mie nonni, degli amici che ho perso. Non c’è nulla, solo sabbia ed acqua. Molti si affannano alla ricerca di una ragione, di una regola, di una reazione chimica, per spiegare il colore del sole tra le nubi, quando le prime luci tagliano orizzontali l’acqua del mare. Qualcuno ha studiato il volo dei gabbiani, in gruppo sulle curve lievi della bonaccia. I gabbiani sembrano ascoltare in silenzio il nuovo giorno. Gli scienziati hanno già misurato questo vento freddo ed umido, che arriva dal fosso, frenato dal caldo delle acque marine, sbattendo contro la mia nuca a svegliarmi.
Tutti hanno il metro per ridurre, ciò che vedo e quello che non riesco a vedere, in una tabella di numeri e formule, quasi fosse un piacere malvagio, smontare la meraviglia del mattino ai miei occhi. A volte mi chiedo se un Dio beffardo non si stia prendendo gioco di noi, appannandoci la mente, col manto della scienza, della ragione, al fine di impedire la vista del suo volto ai mortali. Qualcuno ha trovato il suo Dio e lo ha ridotto a sua immagine, perché immaginare un Dio senza immagine, non è semplice. Un Dio tascabile, da usare come l’aspirina. Io ho visto Dio. L’ho visto dentro gli occhi del mio cane. Lo vedo nella sua anima sofferente, quasi fosse un custode di segreti al quale avessero tagliato la lingua. Lo vedo quando fissa, insieme a me, la prima luce del sole, che arrossa le acque del mare. Vedo Dio, quando cerca il mio sguardo, perché lui vuole parlarmi di sé e tuttavia non potrà mai farlo. Vado, domani mi aspetta una nuova alba

venerdì 15 agosto 2014

Southern Death Ride



Volevo solo comprarmi quella moto”. 
La sottile linea di fumo che correva ondulata fino al lampadario ingiallito, nascondeva a tratti il volto di Nicolas. Una scorza di rughe si attaccavano ai lati degli occhi, due punti azzurri, offuscati leggermente da un velo, il quale tuttavia, lasciava intatta un’espressione vivida, da contadino strafottente. Avrebbe potuto avere ottant’anni e zoppicava palesemente tanto da appoggiarsi, anche quando era seduto ad un bastone di legno intagliato. Lo avevo notato, sere prima, di ritorno da uno dei miei tour nel Cilento, a scarrozzare ciclisti stranieri. Ero rimasto colpito quella vecchia moto monocilindrica, tenuta in piedi da un restauro, parcheggiata davanti al locale. Avevo dedotto che Nicolas, fosse un motociclista poiché portava  costantemente addosso un giubbotto di pelle, liso e rattoppato. Puntò subito i miei tatuaggi sbiaditi, quasi fossero un segno distintivo tra vecchi biker. Ero io a non essere più un centauro, la mia vecchia Guzzi languiva, ormai danni, impolverata nel garage, ma questo sembrava non interessargli più di tanto.  Mi prese in simpatia. Così la sera, dietro un bicchiere di vino, mi trovai ad ascoltare la sua vita o quella parte che Nicolas voleva raccontarmi. Scoprì che era belga e che aveva deciso di fissare la sua dimora estiva lì, a Capaccio, presso l’agriturismo della Baronessa Bellelli. In inverno si trasferiva a Bangkok, dove viveva grazie all’aiuto di alcuni amici per i quali sbrigava quelli che lui definiva "affari". 
 Era uscito dalla guerra ancora ragazzo, con la voglia di scappare dalla miseria e dalle macerie. In Italia tutto era da ricostruire, ma lui non aveva voluto rimanere ed era partito per l’America. Portò con sè una valigia malconcia ed una ragazzina altrettanto malandata, frutto di un amore disperato e contrastato. Arrivarono a New York e furono subito messi in fila per la quarantena ad Ellis Island. Lì incontrarono Vito, un giovane siciliano che era partito in cerca di fortuna e voleva entrare a lavorare presso il ristorante dello zio a Little Italy. Non fu difficile per loro riuscire a strappare la promessa di un lavoro. Iniziarono a prestare servizio, lui come aiuto cuoco e lei come cameriera. La clientela del locale era costituita, per la maggior parte, da italiani che avevano già fatto fortuna negli States.  -Un giorno – mi disse Nicolas- il padrone ordina a mia moglie di preparare un tavolo appartato, dietro un separè, perchè dovevano arrivare ospiti importanti. Si presentano una decina di persone e tra di loro riesco a scorgere, sbirciando dalla porta della cucina, Frank Sinatra. Siede vicino ad un altro tizio e lo chiama Jimmy. Scopro poi che si chiama Jimmy Hoffa ed è un pezzo grosso del sindacato. Cinque minuti dopo la loro uscita, il locale salta in aria. Qualcuno ha piazzato una bomba per far la pelle ad Hoffa. Noi ci salviamo per un pelo ma io rimango ferito ad una gamba. Dissero poi, che quella bomba ce l'avevano messa gli scagnozzi dei Kennedy. Qualche giorno dopo, il gestore mi chiama e mi offre un altro lavoro in cambio del mio silenzio sulla faccenda, lasciandomi intendere che un rifiuto non sarebbe stato “gradito” dagli “quelli” Si trattava di un posto come autista di tir presso una squadra corse, diretta da un miliardario eccentrico: il compito era trascinare da est ad ovest un vecchio truck, carico di automobili, da far correre sui circuiti privati, per la gioia di anelluti benestanti dalla Florida al Texas. Dormivo quando potevo, mi fermavo in quelle vecchie stazioni lungo le route infinite verso il west. Imparai a distinguere ogni singolo cactus che costellasse i tramonti del Colorado-. Nicolas aveva uno strano bagliore negli occhi , quando parlava di quei paesaggi lungo i quali aveva trascorso giorni e notti alla guida. Avrebbero potuto essere bugie. Non mi importava che lo fossero. La mattina seguente, e quelle dopo,  nonostante mi alzassi di buon’ora, non lo trovavo mai. Chiedevo alla cameriera dove fosse. Mi diceva sempre che era partito presto, senza lasciare indicazione sul suo tragitto. Così radunavo i miei clienti e passavo la giornata insieme a loro, in cerca di una cala, di una spiaggia e di un buon ristorante che cucinasse una pezzogna decente. A cena, lo trovavo sempre lì, seduto al suo tavolo. “Riuscì a comprare quella vecchia Triumph” – mi disse l’ultima sera – “L’avevo estorta al cuoco portoricano del fast food sotto casa. Aveva lasciato la moglie sola con quattro figli e si era messo insieme ad una spogliarellista. La moglie era tornata alla carica per reclamare il mantenimento dei figli e lui doveva vendere la moto per ricavare soldi” – Nicolas mi guardava, stringendo i piccoli occhi, con una smorfia di soddisfazione. “ La moto era malandata, per farla partire occorreva prenderla a martellate sulla testata” . – Poi cambiò espressione – “ La felicità di quella moto non durò a lungo, la mia compagna tornò in Italia, stanca di quella vita senza prospettive e rimanemmo soli in quella topaia vicino ad Harlem, io e la mia Triumph. – Il volto di Nicolas si era fatto scuro – “ Decisi di ritornare anch’io in Italia, ma non potevo portare la moto con me, così feci pubblicare un annuncio sul giornale. Ero arrivato a pochi giorni dalla partenza e nessuno aveva risposto all’inserzione. Avrei dovuto abbandonare quel ferro in mezzo alla strada ed andarmene ma, il giorno prima del mio volo di ritorno per l’Italia, un tizio mi chiama perché è interessato alla moto. Mi dà l’indirizzo e mi dice di andare da lui per fare un giro di prova. Parto ed arrivo in questo residence fatto di villette isolate” – Si presenta questo tizio e dice di chiamarsi Laszlo. Non sa guidare la moto e vuole che glielo insegni in un quarto d’ora. Mi ero presentato con un giubbotto nero ed un cappello di pelle nera ed avevo un aspetto molto “selvaggio”, molto “cool”. Mentre faccio lezione a questo ungherese, lui di colpo si gira e mi fa: - Ragazzo, hai stile. Te lo dico sinceramente. Sono un regista e sto girando un film su una banda di motociclisti. Ho sotto contratto un attore giovane, ma che sono sicuro si farà strada, si chiama Brando, Marlon Brando. Tu potresti essere uno del gruppo dei biker.- A quei tempi Brando non era nessuno e l’idea di rimanere ancora in America, per prendere parte ad un film con attori misconosciuti, non mi allettava. - Ho già il biglietto in tasca per l’Italia, - gli rispondo -ho disdetto il contratto d’affitto, non posso-. Nicolas chiuse il racconto dietro una nuvola di fumo a coprire il suo sguardo, che si andava spegnendo quasi fosse un giradischi alla fine dei suoi solchi. Si alzò, prese il suo bastone, mi fece un cenno con il capo e uscì nella notte che aveva preso l'odore del lentisco. La mattina dopo, la moto era lì, ma di lui nessuna traccia. Chiesi alla cameriera – “ Guardi che la moto non è di Nicolas” – mi disse lei con tono di rimprovero – “la moto è del giardiniere. Nicolas esce a piedi tutte le mattine con il casco in mano , ma va fino alla fermata dell’autobus. Forse prende la linea che va fino a Magliano Vetere, ma non sappiamo esattamente dove scenda.” – rimasi senza parole. Inforcai la bicicletta e iniziai a salire oltre Capaccio. Di Nicolas nessuna traccia. Ero arrivato fino a Monteforte. Entrando nel paese, presso il parapetto di una curva, notai una figura alta, giaccone di pelle, capelli grigi lunghi fino alle spalle, mani in tasca e casco tenuto dall’avambraccio attraverso la visiera aperta. Nicolas era lì, di spalle alla strada e fissava la vallata. Lo sguardo era impietrito, vitreo, perso in un punto dell’orizzonte. Non notò il mio passaggio né io feci nulla per attirare la sua attenzione. Mi fermai al bar trecento metri più giù in paese. “Mi scusi, ma chi è quell’uomo, in piedi, vicino la curva che guarda a valle?” – Chiesi alla vecchia barista che mi versava una birra – “ Chi l’americano? Il pazzo?” – mi apostrofò con espressione di sorpresa la signora - “ Quello viene ad aspettare l’amico suo” – “L’amico suo?” – insistetti io – “ Sì, l’amico suo che è morto. Tanti anni fa , dopo lo sbarco degli alleati a Paestum, i soldati avevano lasciato una vecchia moto inutilizzabile in mezzo alla strada. Lui e il suo amico erano poco più che ragazzini. Riuscirono a metterla in piedi e ci saltarono su. La discesa fino al paese non era ripida, ma la moto era pesante e i due non riuscirono a fare la curva. Finirono di sotto. Lui si salvò, ma rimase zoppo, l’amico morì sul colpo spezzandosi l’osso del collo. La moto è ancora là” – Uscì senza consumare. Presi la bicicletta ed iniziai a risalire. Arrivai presso la curva ma Nicolas non c’era più. Fu allora che decisi di affacciarmi oltre il parapetto. Guardai giù. Più sotto, nel piccolo pezzo di terra incolto, sotto un fico malandato, i rottami di una vecchia Triumph.