lunedì 22 giugno 2009

Un uomo


Un uomo si aggrappa alle chiappe di piccole puttanelle, con la speranza di trattenere la vita che lo abbandona. Vede i suoi capelli diradarsi, arretrare sulla fronte. Allora, li colora, li incolla, li friziona. Un uomo si cura, grazie al suo denaro, si tomografizza, si doplerizza, si risuona magneticamente, estrae flaconi dei suoi fluidi, li fa analizzare, li scansiona. Egli è sicuro di trovare nelle cifre, nei range di tolleranza, la formula segreta del rimanere vivo, di contare respiri infiniti, di cagare il più possibile, di mangiare e scopare. Sulle pieghe della sua pelle cadente si accaniscono i chirurghi, le tirano, le tagliano, rinzaffano, rinforzano.; botulini, siliconi, glicogeni, colture epiteliali. Un uomo sopporta i tagli trasversali ai suoi fianchi, dai quali, vengono estratti cumuli di sego, di cellulite, di grassi saturi, insaturi, i quali suppurano nelle sacche, si depositano di siero e sangue, si agglutinano. Un uomo si fa smontare i denti, li ripianti, li devitalizza, li revitalizza, li ceramizza affinchè un sorriso come il territorial pissing, delimiti le zone di competenza per gli altri. Accorrono al suo capezzale, i look maker. Ma dietro le orecchie si notano le linee di tensione, come una maschera che nasconde il volto di un anziano. Allora un uomo, ormai vecchio, si concede di dragare gli umori vitali di morbide pulzelle, tentando erezioni , facendosi manipolare succhiare, leccare, da chi potrebbe essergli nipote, come a sfregiare quello che lui non può più avere: l’essere giovane. Vorrebbe nascondersi a chi lo cerca da tempo, vorrebbe non pensare a chi non può essere comprato dai suoi soldi. Come un novello Sisifo, combatte la sua visione, tentando l’inganno. Così facendo, rende l’incontro ancora più terribile. La maschera della paura, deformerà il suo viso attaccato dai fili del chirurgo, bloccherà le sue viscere, renderà meno fluido il suo sangue. Vedo un uomo, composto sul letto della morte, trovare nel momento il baratro di quello che è stato e che non sarà più, per sempre. Sarà più buia, allora, la sua notte eterna.

mercoledì 10 giugno 2009

Il vecchio


Il vecchio mi guarda mentre sudo. Non emette una parola. Oltre le lenti a culo di bottiglia si espande uno sguardo ebete e diffidente, pronto a cogliere la conferma della prima impressione che ha ricevuto, accogliendomi in casa sua: un drogato tatuato con gli orecchini, probabilmente di estrema sinistra ed ateo. Il vecchio mi sopporta perché non ha trovato altri muratori, ma si stizzisce del fatto che, al contrario di altri del mio mestiere, non stia tutto il giorno a bere birra e ruttare, con il mozzicone della sigaretta in bocca. Non gli do soddisfazione con la mia bottiglia di minerale. Lo sento, dietro al collo, ansimare con il suo alito carico di aglio e cipolle in soffritti di burro e maiale, mentre controlla, le mani giunte dietro la schiena, che faccia qualche errore per poter imprecare contro la mia natura di individuo perennemente imbraccato dalla calce. Non riesce a parlare, perché un ictus lo ha colpito ed ora emette uno strano verso, simile ad una vecchia gallina che tenti di recuperare un uovo ruzzolato dal suo culo, giù per il pollaio. Non capisco vuole dirmi qualcosa, ma muove le mani, lucide di pelle rosea e tirata da vecchio commerciante. Mi sta dietro, mi sta alle calcagna. Punta il filo tra le stadie, per trovare un corpo del delitto, onde potermi vomitare in faccia, un gemito di imprecazione, per i soldi che, gli chiesi in acconto. Trasporto mattoni da giorni. Lo trovo sulle scale mentre ansimo sotto il peso, pronto ad intralciare il mio passo, quasi fosse un ostacolo, da superare per aumentare il mio punteggio sul cartellone. Tossisce cantando un verso indecifrabile, ossessivo. Si avvicina mentre impasto. Garrulo mi indica il forato fuori bolla , appena poggiato sulla malta. Erode le mie tranquillità mentre manovro secchi di sabbia. E’ dietro da giorni al mio lavoro, come un segugio sulla volpe. Sento la sua presenza di vecchio, dietro le terga, con il suo odore, la mattina, di pizza secca ed unta, perché egli fa colazione con il pane del giorno prima, per risparmiare. Non si lava le mani ed utilizza i miei attrezzi, come un untore. L’odore del pane stantio e lubrificato da pessimo olio, mi si attacca ai vestiti, impregna il mio furgone, mi perseguita fino a casa. Mi salvo creando una barriera di motivi cantati a denti stretti, onde evitare un inizio di conversazione da Babele. Gioco di anticipo, tenendolo occupato, facendolo sentire utile. Lo metto a pulire le macerie e so bene che lui mi chiederà uno sconto per questo. Poi esce al balcone. Per un momento sento il vuoto, poi di nuovo la presenza. Così, mentre è chino sui calcinacci a fare ordine, mi avvicino a lui con un forato in mano, alzo la martellina per rompere il laterizio e lascio cadere la testa del martello con tutta la mia forza, sul cranio del vecchio. Il rumore sordo della noce di cocco appena frantumata anticipa di poco, lo schizzo di sangue che inonda i miei pantaloni, la parte bassa della mia camicia ed il mio collo. Il vecchio emette un lungo urlo modulato da un gorgoglio che gli esce dalla gola, subito interrotto da uno spernacchio da spurgo, durante il quale sputa saliva e sangue. E’ ancora chino sul sacchetto e riesce a voltarsi lentamente. Dagli occhiali appannati, lo sguardo della morte punta sulla testa del mio martello che cala con forza di nuovo, in un punto preciso tra naso, zigomo e fronte. Gli entro nel cervello. Cade all’indietro come un sacco vuoto. Impasto la sabbia con il suo sangue e continuo a lavorare. Ora aspetto che vengano a prendermi.